Contro i roghi del nostro tempo

Per una resistenza civile e culturale

Anna D’Auria

Due fatti di “cronaca” in pochi giorni: protagonisti i libri.

Una libreria bruciata a Centocelle, quartiere periferico romano. 

Un libro che si vuole eliminato dallo scaffale di una biblioteca pubblica di Spinea, in provincia di Venezia. 

Fatti apparentemente diversi, determinati da autori lontani per cultura, moralità, impatto sulla società civile.

Ma l’associazione tra i due eventi, non solo cronologica, dice altro. 

A Centocelle “La pecora elettrica”, libreria caffè, dava fastidio ed è stata per due volte bruciata. In una periferia abbandonata, violentata, territorio da anni dominato da degrado e criminalità, un punto di luce dato da una libreria è vissuto come una minaccia.  

Un luogo di presenza, d’incontro e cultura diventa un elemento ostativo per i traffici e i guadagni illeciti, per quell’imbarbarimento culturale e civile necessario a mantenere nel tessuto sociale le condizioni di alienazione, spaesamento, isolamento, esclusione funzionali all’assoggettamento alle “regole” della delinquenza organizzata.

A Spinea il giorno 11 novembre il Consiglio Comunale dovrà discutere una mozione presentata dalla Lega che chiede al sindaco di “bruciare”, rimuovendolo dalla biblioteca comunale, il libro “L’importante è che siamo amici” della scrittrice australiana Jessica Walton perché proporrebbe ““la normalizzazione del cambio di genere nei bambini in tenera età”. Un libro che in realtà si pone come solo intento quello di aiutare i bambini ad accogliere le differenze di genere, educandoli a non trasformarle in pregiudizi e quindi in disuguaglianze. 

Due storie diverse ma con la stessa violenta valenza simbolica: attaccare la carta stampata, la parola fissata, il pensiero e la creatività di un singolo o di un gruppo che vuole il riconoscimento di una differenza, la propria e quella degli altri, di un’emancipazione da uno stato di esclusione, del riconoscimento di una libertà: quella di auto-determinarsi nella propria soggettività e differenza. 

In entrambi i casi lo scopo è mettere a tacere chi le strade, quelle fisiche o quelle del pensiero, le vuole mantenere aperte, accoglienti, inclusive. 

Ad impressionare è che l’associazione tra i due fatti chiama in causa due attori che dovrebbero, nella nostra civiltà, restare lontani: delinquenti che traggono un diretto beneficio economico dal mantenere un intero quartiere assoggettato alle sue leggi; decisori politici che dovrebbe garantire la giusta amministrazione del territorio. 

I rappresentanti di un’amministrazione pubblica dovrebbero essere depositari di una visione costituzionale di eguaglianza, di rispetto della persona umana, di riconoscimento della dignità delle differenze. 

Dovrebbero sostenere e promuovere un preciso ideale di cittadino: aperto, rispettoso delle libertà culturali, linguistiche, religiose, sessuali altrui. E questa non può essere ritenuta un’opzione ideologica perché è un diritto costituzionalmente da garantire. 

I politici, gli amministratori degli Enti Locali, nelle loro diverse espressioni e determinazioni, dovrebbero rifuggire da luoghi comuni regressivi, da false rappresentazioni scientifiche e teorie fuorvianti. 

Hanno il dovere di essere informati, di promuovere coesione sociale, di farsi garanti delle libertà.  

Orientare i bambini a una corretta interpretazione delle differenze, educarli a far prevalere i valori dell’amicizia, del rispetto, della solidarietà, per promuovere integrazione e coesione sociale non può rappresentare una minaccia. 

Nella mozione proposta si ripropone una concezione fuorviante e falsa: quella della teoria gender, di fatto una teoria mai esistita. La definizione si riferisce a studi di genere il cui intento è quello di esplorare come la rappresentazione di genere si esprima in una data società e momento storico, culturalmente, socialmente, psicologicamente e come questa condizioni l’essere uomo/donna. Uno studio e non una teoria nata per condizionare il formarsi dell’identità sessuale.

Ma minare la conoscenza, la cultura, quella degli spazi pubblici, dei libri, delle storie concrete di vita delle persone ha lo stesso effetto: assoggettare, fare esercizio di autoritarismo culturale, di pregiudizio, di razzismo. Censura la possibilità di crescere attrezzandosi culturalmente e socialmente con strumenti di giusta e critica interpretazione della realtà, delle differenze, del rapporto con gli altri. Impedisce che si cresca culturalmente capaci di non trasformare le differenze in disuguaglianze. 

Già il sig. Brugnaro, sindaco di Venezia, nel 2015 aveva fatto ritirare dalle scuole dell’infanzia e dagli asili nido comunali i testi che affrontavano il tema delle discriminazioni. Opere il cui solo intento era quello di educare i bambini a rispettare chi è diverso da loro. 

Oggi, e in quello stesso territorio, la storia si ripete. 

E non è un caso che si tenta di esercitare un controllo sui luoghi di diffusione ed elaborazione culturale: una libreria, una biblioteca, la scuola. 

Sempre a Venezia è di pochi giorni fa la notizia che una preside ha “imposto” la commemorazione del 4 novembre in presenza di soli rappresentanti delle forze armate senza avvertire la necessità di confrontarsi con la scuola: il collegio dei docenti, il Consiglio d’Istituto, gli studenti. Ha ritenuto di poter scegliere, e da sola, quale fosse il modo per parlare di guerra, di unità nazionale; è prevalsa la sua idea rispetto a quella di un’intera comunità scolastica. 

E’ necessario allora di fronte a questi fatti esprimere disobbedienza e resistenza civile, culturale, come quella degli studenti e degli insegnanti di Venezia che si sono rifiutati di partecipare all’evento organizzato dalla dirigente scolastica. 

Siamo indignati rispetto a fatti e/o persone che tentano di minare il potere emancipatore della cultura, il valore delle storie, collettive e individuali, e dei modi attraverso i quali in modo plurale e democratico esse devono essere veicolate: un luogo di incontro, un libro, gli insegnanti, gli studenti, la scuola. 

Esprimiamo solidarietà agli educatori ed alle educatrici democratici/che, che nei diversi territori italiani svolgono un’azione di sensibilizzazione e contrasto a ogni forma di repressione della crescita culturale e della risoluzione non violenta dei conflitti, agli abitanti del quartiere Centocelle, agli studenti e agli insegnanti del Liceo Marco Polo di Venezia, e ci associamo alla richiesta del gruppo MCE di Mestre al Consiglio Comunale di Spinea di “non accogliere la mozione che richiede la rimozione dei libri cosiddetti gender dalle biblioteche, ma anzi di dimostrare il proprio sentimento di città accogliente arricchendo l’offerta libraria a beneficio di ogni cittadino-cittadina”. 

Si allegano i documenti elaborati dal gruppo cooperativo MCE di Mestre – Venezia su Liceo Marco Polo e sulla mozione presentata al Consiglio Comunale di Spinea. 

SOLIDARIETÀ A STUDENTI, STUDENTESSE E DOCENTI DEL LICEO MARCO POLO DI VENEZIA

NO ALLA RIMOZIONE DEI LIBRI DALLE BIBLIOTECHE DI SPINEA